ARTICOLI In questa sezione, gli articoli si concentreranno su medicina narrativa, medical humanities ed etica della cura. Analizzando studi pubblicati su riviste scientifiche autorevoli, si tenterà di offrire un punto di partenza per un dialogo interdisciplinare che coinvolga tutti i professionisti della salute. L’obiettivo è contribuire alla costruzione di una pratica clinica più completa e personalizzata, che valorizzi sia l’efficacia degli interventi che la dimensione umana dell’esperienza di malattia

Massimiliano Marinelli Centro Studi SIMeN  9 maggio 2025

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Rita e l’endometriosi

dall’articolo “SO FAR AWAY”

Introduzione

in una tesi  di  Master in Medicina Narrativa, Ileana Zagaglia (2018) rimarcava così la differenza tra la prospettiva disease e il vissuto della malattia (Illness):

“se per me una endometriosi è il proliferare di tessuto endometriale in sedi anomale, dolore pelvico cronico, dismenorrea, per Rita è dolore e giorni di lavoro persi, è l’angoscia di fare l’amore, la paura di non poter avere figli, i vestiti scuri e la borsa sempre piena di assorbenti e tamponi…”.

La necessità di integrare  nella relazione di cura entrambe le prospettive, soprattutto in una malattia così dura: “un inferno sulla terra”  è ribadita dal recente articolo di Giulia Emily Cetera e colleghi, pubblicato sull’ International Journal of Women’s Health, dal titolo evocativo “SO FAR AWAY” How Doctors Can Contribute to Making Endometriosis Hell on Earth. A Call for Humanistic Medicine and Empathetic Practice for Genuine Person-Centered Care” che molto volentieri presentiamo alla comunità della medicina narrativa .

Attraverso una revisione narrativa, lo studio mette in luce come la mancanza di un approccio umanistico nella pratica medica possa esacerbare la sofferenza delle pazienti, trasformando una condizione già complessa in un vero e proprio “inferno sulla terra”.

L’articolo

L’articolo parte da una constatazione allarmante: circa il 50% delle donne con endometriosi si dichiara insoddisfatta delle cure ricevute. Questa insoddisfazione è spesso radicata in una comunicazione inefficace e nella sensazione, da parte delle pazienti, di non essere ascoltate e comprese nelle proprie esigenze. Nonostante le raccomandazioni della comunità scientifica degli ultimi vent’anni, non sembra esserci stato un miglioramento sostanziale.

Il cuore dello studio è l’analisi delle otto dimensioni di una scarsa umanizzazione nel contesto della gestione clinica dell’endometriosi, basate sul lavoro di Todres e colleghi (2009). Per ogni dimensione, gli autori descrivono come essa si manifesta nella pratica clinica e quali possono essere le conseguenze negative sugli esiti delle pazienti, proponendo al contempo approcci umanizzanti, nei quali risuonano temi della Medicina Narrativa.

Otto dimensioni

Ecco una sintesi delle otto dimensioni:

Oggettivazione.

L’oggettivazione avviene quando i medici ignorano i sentimenti e le emozioni delle pazienti, considerandole oggetti diagnostici. Questo si manifesta con la “normalizzazione e psicologizzazione del dolore,” che minimizza la loro sofferenza. Tale minimizzazione può intensificare la percezione del dolore e portare all'”undertreatment di forme non riconosciute di endometriosi,” specialmente nelle adolescenti. Di conseguenza, le pazienti si sentono non credute e respinte, aumentando il loro stress e rafforzando la convinzione dei medici che il loro dolore sia “tutto nella loro testa”.

È necessario riconoscere che solo le pazienti possono veramente conoscere i propri sentimenti interiori e le conseguenze che tali sentimenti determinano nella loro vita quotidiana.. È fondamentale non minimizzare il dolore e considerare i segnali d’allarme dell’endometriosi fin dall’adolescenza.

Passività.

La passività si manifesta quando le pazienti sono private della capacità di fare scelte ed essere ritenute responsabili delle proprie azioni. Nella gestione dell’endometriosi, ciò si traduce nel non promuovere il processo decisionale condiviso e nel non favorire l’autogestione. Quando le pazienti si sentono passive, la loro dignità umana diminuisce, portando a una ridotta percezione di sé. Non considerare le loro preferenze e priorità compromette l’aderenza al trattamento, riduce la fiducia nei medici e peggiora la qualità della vita. È importante prendere in considerazione i bisogni individuali, le convinzioni personali e i progetti di vita durante l’incontro medico come base per il processo decisionale condiviso. Quando le pazienti percepiscono che il loro medico si preoccupa di loro e si interessa a loro come persone, sono più propense a essere attive nell’incontro e ad aderire al trattamento. E’ opportuno, inoltre, valorizzare e sostenere le strategie di autogestione già messe in atto dalle pazienti.,

Omogeneizzazione

L’omogeneizzazione consiste nel sottolineare come le persone vengono adattate a una particolare categoria diagnostica, de-enfatizzando la loro unicità. Le pazienti affette da endometriosi possono essere considerate come semplici manifestazioni della loro malattia, trattate come simili o interscambiabili con altre nella stessa categoria diagnostica. Ciò si traduce in una mancanza di attenzione ai bisogni e alle priorità individuali e in una scarsa promozione di un’assistenza sanitaria inclusiva. 

Isolamento.

L’isolamento è la dimensione in cui un individuo sperimenta una mancanza di vicinanza e intimità con persone significative. Le connessioni sociali quotidiane vengono interrotte e sorge un senso di alienazione. Le donne con endometriosi spesso riportano una mancanza di comprensione da parte di familiari e amici a causa dello stigma sociale sulle malattie ginecologiche e sulle condizioni di dolore cronico. Anche i comportamenti dei medici, come la mancanza di contatto visivo, di espressività, di contatto fisico, stare in piedi alla fine del letto del paziente anziché accanto, e non ricordare dettagli personali, contribuiscono all’isolamento. È possibile facilitare la dimensione tipicamente umana della “togetherness” incoraggiando sia l’ascolto attivo che il supporto sociale. Dare alle pazienti il tempo di raccontare la loro storia ed esprimere i loro sentimenti, sottolineando che sono ascoltate, le fa sentire validate, supportate e rispettate.

Perdita di significato.

Gli esseri umani sono motivati a trovare un significato per eventi ed esperienze, collegando schemi e dando un senso al tutto. Nel contesto medico, le pazienti sentono il bisogno di integrare i loro sintomi e le interruzioni che questi causano nella loro vita quotidiana in una prospettiva più ampia, all’interno della loro storia di vita. Quando questa capacità di dare un senso viene meno, gli individui possono sperimentare un senso di vuoto. L’endometriosi, come tutte le malattie croniche, può essere un evento dirompente che porta a un ripensamento della propria biografia e a uno spostamento da una traiettoria di vita percepita come normale a una anormale. L’incertezza riguardo alla diagnosi, al trattamento e alla prognosi dell’endometriosi, spesso esacerbata dalla mancanza di comunicazione, contribuisce a questa perdita di significato.

Per supportare le pazienti nella ridefinizione dei loro progetti di vita, la comunicazione è fondamentale. È importante ottenere feedback dalle pazienti riguardo alla loro percezione della malattia e prestare attenzione a quanto bene hanno compreso cosa è successo, cosa sta succedendo e cosa probabilmente succederà nella loro vita. Fornire informazioni chiare, comprensibili, accurate e quantitative attraverso un incontro onesto è un atto eticamente significativo. Comunicare anche l’incertezza inerente all’endometriosi è un dovere morale.

Perdita del percorso personale.

Strettamente connesso al concetto di perdita di significato è quello di perdita del percorso personale. Gli esseri umani sono legati a un senso di continuità con il passato mentre vivono nel presente e guardano al futuro. Spesso, nell’incontro medico, c’è poco spazio per considerare il senso di continuità delle pazienti, come viene mantenuto o interrotto dalla loro malattia. L’enfasi è solitamente su come la persona sta, più che su chi è la persona, e questo non aiuta le pazienti a sentire come la loro cura sia legata alla loro storia. Le pazienti possono sentirsi liquidate, portando a sentimenti di sfiducia e invalidazione, che influenzano negativamente la relazione medico-paziente.

Dislocazione:

Tutti gli esseri umani hanno bisogno di un habitat, un luogo dove il sentimento di sentirsi a casa diventi significativo, fornendo comfort, senso di sicurezza e di agio. La dislocazione si verifica quando questo senso di comfort si perde e sorge un senso di estraneità. Negli ambienti clinici, la qualità degli spazi influenza privacy, dignità e può mettere a disagio le pazienti.

Corpo oggetto

Una visione riduzionista del corpo consiste nel sovra enfatizzare segni, sintomi e risultati di esami strumentali, trascurando le dimensioni psicologiche, ambientali, sociali e spirituali dell’individuo. Nonostante sia accettato che l’endometriosi sia una condizione infiammatoria sistemica e che il dolore correlato sia causato da una varietà di fattori, inclusi quelli organici e neuro-psicologici, il trattamento di tutti questi fattori è spesso considerato superfluo dai medici. Trascurare la salute psicologica e la funzione sessuale delle pazienti, nonostante la loro rilevanza nel dolore cronico e nella qualità della vita, è un aspetto della deumanizzazione.

commento

Si ritiene che l’articolo offra un contributo rilevante al dibattito sulla Medicina Narrativa, mettendo in luce come la medicina tecnoscientifica, pur essenziale per i progressi diagnostici e terapeutici degli ultimi decenni, rischi di marginalizzare gli aspetti esistenziali delle pazienti

L’oggettivazione, la passività, l’omogeneizzazione e la riduzione del corpo a mero oggetto diagnostico sono ciascuno manifestazioni di un riduzionismo funzionale che separa la tecnica dalla relazione umana. L’oggettivazione si traduce nella tendenza a vedere il paziente come un contenitore di sintomi anziché come un soggetto portatore di vissuto; la passività emerge quando al malato viene negata la possibilità di partecipare alle decisioni terapeutiche, riducendo la sua dignità e responsabilità; l’omogeneizzazione consiste nel catalogare ogni storia di malattia entro rigide categorie diagnostiche, ignorando le peculiarità biografiche e culturali di ciascuno; infine, il corpo- oggetto incarna la visione tecnologica che enfatizza esami e procedure, trascurando l’esperienza soggettiva e il contesto di vita del paziente. Questa frammentazione impedisce un’autentica attenzione alla persona e ha spinto all’emergere della Medicina Narrativa. Il relegare la persona ai margini del campo percettivo della medicina tecnologica, infatti, è stata una delle ragioni della nascita stessa della Medicina Narrativa.

La medicina negli ultimi 60 anni ha ottenuto risultati straordinari nella diagnosi e nel trattamento dell’«ente malattia», grazie a un punto di vista oggettivante che considera il corpo (Körper) come contenitore della malattia. Tuttavia, questa prospettiva tende a omogeneizzare i pazienti sotto la stessa categoria diagnostica, trascurando i bisogni individuali.

Pensare esclusivamente in termini di normale e patologico porta a ridurre ogni esperienza di dolore a un mero sintomo da ricondurre a un modello standardizzato. Il dolore personale viene così oggettivizzato, trasformato in un’appendice patologica da classificare anziché in un’espressione soggettiva di sofferenza che coinvolge aspetti biografici, emotivi e relazionali. Questa visione tende a assimilare la sofferenza a un segnale puramente biologico, ignorandone  la dimensione psicologica,  sociale e spirituale..

In particolare, le donne affette da condizioni come endometriosi o fibromialgia segnalano frequentemente questo tipo di svalutazione. Esse denunciano un’interpretazione androcentrica dei sintomi, in cui le loro parole vengono considerate esagerazioni o meri disturbi psicologici, piuttosto che manifestazioni autentiche di sofferenza. Questo fenomeno di “gender pain bias” non solo ritarda la diagnosi e il trattamento, ma amplifica il senso di frustrazione e alienazione, erodendo la fiducia nella relazione medico–paziente e aumentando il rischio di isolamento.

Un dolore cronico non riconosciuto può causare isolamento, poiché il paziente si separa da chi non comprende o finge di non capire la sua sofferenza.

Nella sintesi delle otto dimensioni di Todres et al., emergono in primo piano due rischi squisitamente narrativi: la «perdita di significato» e la «perdita del percorso personale». La perdita di significato si manifesta quando la malattia interrompe la capacità della persona di integrare i sintomi nel contesto della propria storia di vita, generando un senso di vuoto esistenziale e un’alterazione del progetto biografico precedentemente immaginato. La perdita del percorso personale, strettamente legata, descrive la rottura della continuità esistenziale: ciò che una volta era parte integrante della propria identità (lavoro, relazioni, aspirazioni) viene improvvisamente sospeso o irrimediabilmente modificato.

Nell’endometriosi, come in altre malattie croniche, l’identità narrativa è effettivamente a rischio: la donna si trova a dover ridefinire se stessa alla luce di un’esperienza di dolore cronico e di incertezza prognostica. La narrazione diventa così uno strumento essenziale della relazione di cura, poiché raccontare la propria storia può aiutare a ricomporre la biografia interrotta, ricollegare dolore e significato, costituendo così un aspetto importante della comunicazione tra medico e paziente, in un reciproco “spiegare di più per comprendere meglio”  in modo da assegnare la “discontinuità” dell’evento  nel proprio continuum di vita.

Dalla lettura dell’articolo  emerge l’urgenza di adottare un approccio narrativo nell’incontro medico–paziente. Un intervento comunicativo di questo tipo, come definito nella Consensus del 2014, non si limita a raccogliere informazioni, ma avvia un processo di co-costruzione in cui la storia di vita, le paure, i desideri e le speranze della persona affetta da endometriosi diventano parte integrante del progetto terapeutico. Attraverso un ascolto attivo e riflessivo — reso possibile solo tramite una formazione comunicativa specifica e strutturata — il medico e la paziente possono esplorare insieme i significati che la malattia assume nella biografia individuale, individuando obiettivi di cura che tengano conto tanto degli esiti clinici quanto della qualità della vita.

In un contesto in cui l’endometriosi può trasformarsi in un vero “inferno sulla terra”, questa prospettiva narrativa può offrire realmente una via praticabile per riconnettere il sé della paziente con il percorso di cura.

Sappiamo che l’endometriosi è un percorso difficile: si  invita a partecipare attivamente alla discussione, condividendo le vostre esperienze, idee e iniziative per validare approcci narrativi e e ispirare nuove soluzioni.

Bibliografia

Cetera, G. E., Facchin, F., Viganò, P., Merli, C. E. M., Frassineti, A., Fiorini, J., Somigliana, E., & Vercellini, P. (2024). “SO FAR AWAY” How Doctors Can Contribute to Making Endometriosis Hell on Earth. A Call for Humanistic Medicine and Empathetic Practice for Genuine Person-Centered Care. A Narrative Review. International Journal of Women’s Health, 16, 273–287.  open access

Todres L, Galvin K, Holloway I. (2009). The humanization of healthcare: a value framework for qualitative research. International Journal of Qualitative Studies on Health and Well-Being, 4(2), 68–77. open access

Zagaglia I., Nella tua vita tesi Master Medicina Narrativa, Comunicazione ed Etica della Cura AA 2017-18 Facoltà di Medicina e Chirurgia UNIVPM.

Per approfondire

Per il concetto di ente malattia e korper:  Marinelli, M. (2024) La medicina narrativa: cerniera tra “Körper” e “Leib in Michelis A., Pisano F., Incorporazioni prospettive storiche e teoriche, Edizioni ETS Pisa.

Per il concetto ricoeuriano di identità narrativa cfr blog identità narrativa