ARTICOLI In questa sezione, gli articoli si concentreranno su medicina narrativa, medical humanities ed etica della cura. Analizzando studi pubblicati su riviste scientifiche autorevoli, si tenterà di offrire un punto di partenza per un dialogo interdisciplinare che coinvolga tutti i professionisti della salute. L’obiettivo è contribuire alla costruzione di una pratica clinica più completa e personalizzata, che valorizzi sia l’efficacia degli interventi che la dimensione umana dell’esperienza di malattia
di Massimiliano Marinelli Centro Studi SIMeN 7 luglio 2025
Quando il dottore diventa paziente: l’esperienza di medici con il cancro

Premessa
Che l’esperienza del patire personalmente una malattia possa modificare il punto di vista e il comportamento di un medico è noto sin dall’antichità. Ne La Repubblica alla domanda
non bisogna avere nello stato medici bravi? (La Repubblica, III, 408).
Socrate risponde
bravissimi diventerebbero i medici se fin da fanciulli, oltre che apprendere l’arte avessero relazione con più corpi infermi possibile e soffrissero di persona ogni malattia, senza avere una sana costituzione. (La repubblica, III, 408 e).
Il filosofo Giovanni Reale, sottolinea il particolare rapporto che Platone traccia tra “medico” e “sofferenze”
Per diventare un buon medico e curare le sofferenze degli altri, un medico deve prima aver sofferto lui stesso quelle sofferenze (Reale, 1999 p. 322).
E ancora oggi per un medico finito nel lato notturno della vita umana, patire significa condividere le stesse paure e le preoccupazione dei propri pazienti come Gianni Bonadonna magistralmente rivela:
Ho conosciuto la paura dei miei ammalati e ora so cosa provava Don Rodrigo… il suo terrore di essere gettato ai monatti . (Bartoccioni et al. 2006).
Ma quando la malattia è un cancro e il medico un oncologo cosa succede?
L’articolo
Leggiamo assieme l’articolo di Chmielewska-Ignatowicz che tenta di comprendere cosa accade quando i medici diventano pazienti. I risultati delle interviste condotte con 20 medici polacchi affetti da cancro offrono un ritratto umano e complesso delle difficoltà che incontrano quando si trovano dall’altro lato della relazione di cura.
Uno dei temi più significativi emersi dallo studio riguarda la prevenzione. In modo sorprendente, molti dei medici intervistati hanno ammesso di non aver seguito pratiche preventive adeguate, nonostante fossero perfettamente consapevoli delle linee guida e delle raccomandazioni. Si nota una disconnessione tra conoscenza teorica e pratica quotidiana, dovuta in parte al sovraccarico di lavoro, alla mancanza di tempo libero e alla difficoltà emotiva di riconoscere la propria vulnerabilità.
Inoltre, l’ambiente lavorativo tende spesso a disincentivare la prevenzione personale, poiché viene data priorità alle esigenze dei pazienti, con la conseguente percezione che prendersi del tempo per sé possa sembrare una forma di debolezza. La prevenzione non è solo una questione di conoscenza, ma anche di tempo, energia e, soprattutto, della capacità di riconoscere e accettare la propria fragilità.
Le sfide nella comunicazione con i colleghi rappresentano un altro aspetto emerso dall’articolo.
I medici-pazienti hanno spesso percepito una mancanza di empatia e sensibilità da parte dei colleghi, come se la loro esperienza professionale li rendesse immuni al bisogno di supporto emotivo. Molti di loro si sono sentiti trattati con freddezza, come se la conoscenza medica li escludesse automaticamente dall’avere bisogni emotivi.
In alcuni casi, nonostante il loro stato di fragilità, i colleghi hanno richiesto che mantenessero un ruolo professionale, imponendo un livello di controllo emotivo irrealistico.
Talvolta è proprio difficile uscire dalla postura abituale che ci protegge
Ricordiamo la scena magistralmente descritta da Tolstoj quando gli amici giudici giunti a casa di Ivan, non riuscivano ad uscire dalla loro postura e gli chiedevano consigli e..
Ivan Il’ic aveva voglia di piangere, aveva voglia che lo carezzassero e lo compiangessero, ed ecco che compariva un suo collega (…) e invece di lacrime e di tenerezze, Ivan Il’ic faceva una faccia seria, severa, pensosa, diceva il suo parere sul significato di una certa sentenza. (Tolstoj, 2009 p. 63 ).
L’atteggiamento dei colleghi, inoltre, rivela quanto sia ancora radicata, anche tra i professionisti sanitari, l’idea che il medico debba essere forte, razionale e quasi invulnerabile. È un modello culturale che necessita di una revisione, poiché ogni medico, quando diventa paziente, porta con sé le stesse paure, incertezze e bisogni di qualsiasi altro paziente.
La conoscenza medica rappresenta un’altra ambivalenza significativa per i medici-pazienti. Da un lato, conoscere la patologia può offrire un senso di controllo e sicurezza, dall’altro può diventare una fonte di ansia.
Si dagli esordi la medicina e con essa i medici hanno avuto un compito e un privilegio:
Descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro: questo è il compito (Ippocrate. Epidemie I, 11).
La previsione del futuro che prende il nome di prognosi rappresenta una dimensione importante dell’asimmetria del rapporto medico paziente. L’oncologo di fronte ad un referto può essere immediatamente in grado di determinare il futuro probabile di quel paziente, mentre egli ne può essere del tutto ignaro.
Con la perdita dell’asimmetria conoscitiva, l’oncologo, è consapevole di tutte le possibili complicazioni e prognosi negative, amplificando a volte paura e preoccupazione. La consapevolezza dei rischi e delle statistiche sulle recidive, la progressione della malattia e le limitazioni dei trattamenti può rappresentare un peso emotivo considerevole.
Anticipare ogni fase del trattamento può rendere difficile affrontare il percorso terapeutico con serenità, poiché ogni sintomo viene spesso analizzato con occhi clinici e associato agli scenari peggiori.
Tuttavia, per altri medici-pazienti, la conoscenza sembra aver offerto un certo grado di sicurezza, aiutandoli a comprendere meglio il percorso terapeutico e a prendere decisioni più informate.
Alcuni hanno anche riportato che la loro conoscenza ha facilitato il dialogo con i colleghi, permettendo loro di discutere le opzioni terapeutiche da una posizione di parità e contribuendo a un miglior adattamento psicologico.
una maggiore consapevolezza
L’articolo di Chmielewska-Ignatowicz ha evidenziato come l’esperienza di essere pazienti possa aiutare i medici a comprendere meglio le difficoltà che si presentano durante un percorso di cura. Vivere direttamente le sfide legate alla malattia permette ai medici di sviluppare una maggiore empatia e consapevolezza riguardo alle esigenze dei loro pazienti. L’esperienza offre un’opportunità unica di identificarsi con i pazienti, comprendendo meglio le incertezze e le paure che spesso accompagnano il percorso di cura. I medici che hanno sperimentato la malattia in prima persona possono diventare più attenti nel valutare non solo i sintomi clinici, ma anche gli aspetti psicologici e sociali che influiscono sulla qualità della vita del paziente.
L’esperienza diretta della malattia, come già insegnava Platone, può trasformare la pratica clinica, rendendo i medici più sensibili alle necessità di comunicazione, alla gestione delle aspettative e alla personalizzazione delle cure.
L’esperienza diretta può incentivare i medici a creare un ambiente più accogliente, migliorando il rapporto medico-paziente e rendendo l’intero processo di cura più collaborativo e rispettoso delle esigenze individuali.
Conclusione
L’articolo di Chmielewska-Ignatowicz offre una prospettiva unica sulle esperienze dei medici oncologici come pazienti, evidenziando le difficoltà e le opportunità legate al doppio ruolo di medico e paziente. Questo tipo di ricerca fornisce un importante contributo alla comprensione di come l’essere pazienti possa influenzare la pratica clinica dei medici, migliorando la loro capacità di relazionarsi e comprendere le esigenze dei pazienti. Tuttavia, è fondamentale considerare alcuni limiti dello studio. Il campione era composto da soli 20 medici, tutti provenienti da un contesto polacco, e i dati sono stati raccolti esclusivamente tramite interviste qualitative. La natura qualitativa e il numero limitato di partecipanti riducono la generalizzabilità dei risultati, rendendo difficile estendere le conclusioni a un contesto più ampio o internazionale. Inoltre, il setting polacco potrebbe riflettere dinamiche culturali e sanitarie specifiche, che non necessariamente rispecchiano la situazione in altri paesi. Nonostante questi limiti, lo studio mette in luce questioni rilevanti riguardanti la vulnerabilità dei medici e la necessità di promuovere una maggiore empatia e supporto all’interno del sistema sanitario. Questi aspetti rimangono centrali per migliorare sia il benessere dei pazienti che quello dei professionisti sanitari, incentivando una cultura di cura più inclusiva e comprensiva.
Bibliografia
Bartoccioni S., Bonadonna G., Sartori F., (2006), Dall’altra parte, Biblioteca Universale Rizzoli BUR.
Chmielewska-Ignatowicz, T., Dziki, A., & Marcysiak, M. (2024). Patient Experience in Neoplastic Disease in Light of the Statements of Doctors Who Are Oncological Patients. Journal of Patient Experience. open access
Ippocrate Epidemie in Vegetti M., (a cura di) Ippocrate, Opere, (1996) UTET Torino, p. 328. Si riporta il brano in quanto è uno dei più intensi e famosi della medicina ippocratica: descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro: questo è il compito. Tendere nelle malattie a due scopi, govare o non essere di danno. L’arte ha tre momenti, la malattia e il malato e il medico. Il medico è ministro dell’arte: si opponga al male il malato inseme al medico..
Platone, La Repubblica.
Reale G., (1999), Corpo, anima e salute. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Tolstoj L.N, (2009), La morte di Ivan Il’ic, Garzanti.