ARTICOLI In questa sezione, gli articoli si concentreranno su medicina narrativa, medical humanities ed etica della cura. Analizzando studi pubblicati su riviste scientifiche autorevoli, si tenterà di offrire un punto di partenza per un dialogo interdisciplinare che coinvolga tutti i professionisti della salute. L’obiettivo è contribuire alla costruzione di una pratica clinica più completa e personalizzata, che valorizzi sia l’efficacia degli interventi che la dimensione umana dell’esperienza di malattia

Massimiliano Marinelli Centro Studi SIMeN  23 maggio 2025

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I medici devono vivere

dall’articolo Doctors must live»: a care ethics inquiry into physicians’ late modern suffering

La sofferenza dei medici e  un nuovo approccio alla cura.

Premessa

Negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, si è posta sempre di più  l’attenzione sul benessere degli operatori sanitari. Nel 2021, la National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine ha pubblicato un libro sul futuro delle scienze infermieristiche (NASE, 2021), dedicando un intero capitolo al benessere degli infermieri. Pur riconoscendo l’esistenza di approcci individuali, si sottolinea come strategie focalizzate unicamente sulla persona siano inadeguate ad affrontare le cause sistemiche che minano il benessere, evidenziando la necessità di un approccio a livello di sistema. 

Avevamo già trattato la necessità di “curare i curanti” (Link). Recentemente, un articolo di Caroline Engen (2025) ripropone il tema, focalizzandosi sull’attuale sofferenza dei medici norvegesi e sulla conseguente esigenza di ripensare la cura.

L’articolo.

L’articolo  «Doctors must live»: a care ethics inquiry into physicians’ late modern suffering” analizza il movimento norvegese #legermåleve (#doctorsmustlive), nato nel 2023 in seguito al suicidio di una  giovane dottoressa  e all’appello  pubblicato dal marito sui social, spiegando che la morte era dovuta alle pressioni eccessive della sua vita professionale.

Tantissimi medici norvegesi hanno condiviso sui social media e sui notiziari le proprie esperienze di condizioni di lavoro inaccettabili e problemi di salute mentale, come burnout, depressione e pensieri suicidi. 

Molti medici percepiscono il loro lavoro quotidiano  come un peso troppo gravoso per la propria vita e per quella degli altri e il numero di ore previste nell’orario di lavoro non dice tutta la verità sul sovraccarico e sul burnout. La cosa più importante non è il numero di ore, ma l’esperienza durante il periodo in cui  si lavora.

L’autrice utilizza un quadro etico della cura e il concetto di sofferenza come dispositivo euristico. Mentre il movimento ha inizialmente inquadrato il problema come un eccessivo carico di lavoro e pressione temporale, la causa sembra risiedere non solo nella quantità, ma soprattutto nella qualità del lavoro. Le condizioni della tarda modernità, caratterizzate da specializzazione, burocratizzazione e focus su risultati misurabili, minacciano l’integrità dei medici come professionisti, la loro identità professionale e la loro capacità di prendersi cura. I medici si sentono “legati” e incapaci di conciliare le loro conoscenze tacite e gli impegni etici con la logica che governa i sistemi sanitari moderni.

Le soluzioni proposte dal movimento, come la semplice riduzione del carico di lavoro o la sostituzione dei medici con algoritmi e tecnologie, sono viste come insufficienti o addirittura dannose, poiché non affrontano le questioni qualitative e relazionali più profonde. L’articolo sostiene che sia essenziale rivendicare il tempo e lo spazio per un’assistenza adeguata ai pazienti e per la cura di sé, sfidando la logica che richiede un lavoro incessante per massimizzare i risultati sanitari.

Un commento

L’articolo presenta una situazione attuale che riguarda tutti gli operatori sanitari, non solo in Norvegia. Suggerisce un programma comune per il miglioramento globale della sanità e del benessere collettivo. Alcuni punti da segnalare sono:

  • Riconoscere la sofferenza dei medici: l’articolo ha il pregio di mettere al centro della sanità  il “patire umano”, che spesso è trascurato, sia quando è incarnato dal  paziente, o come in questo caso riguarda i medici. Inoltre la sofferenza non è considerata  come un problema individuale (come il burnout del singolo), ma come un segno delle trasformazioni sistemiche e sociali della tarda modernità.
  • Comprendere che oltre alla “quantità” del carico di lavoro esistono  anche  quelle “qualità” che minacciano l’integrità professionale, l’identità e gli impegni etici dei medici.
  • Riconoscere l’importanza di bilanciare l’approccio orientato all’efficienza e ai risultati misurabili con le dimensioni relazionali ed etiche della cura. Pur essendo l’efficienza e i risultati misurabili importanti per la gestione sanitaria, non dovrebbero essere gli unici criteri. Occorre valorizzare la dimensione relazionale della cura, che include empatia, attenzione, connessione umana e gli impegni etici dei professionisti.
  • Rivendicare lo spazio per la cura come pratica relazionale, etica e riparativa.
  • Re-immaginare la responsabilità come “response-ability” (capacità di rispondere), coltivando la capacità di rispondere alle richieste di cura per i pazienti, i colleghi e sé stessi. 
  • Resistere alla medicalizzazione del problema, che tende a focalizzarsi sulla resilienza individuale, e affrontare invece le radici sistemiche della sofferenza.
  • Promuovere riforme sistemiche a un livello superiore (politico, organizzativo) che supportino i valori della cura, piuttosto che scaricare il peso insostenibile sull’individuo medico.
  • Considerare la sofferenza come un invito a impegnarsi profondamente nelle esperienze vissute per capire e trasformare le condizioni che plasmano sia la cura che coloro che la forniscono.

Conclusioni 

Il paradigma medico attuale opera prevalentemente secondo una modalità spiccatamente procedurale, una logica che mira all’efficacia e all’efficienza, dettando tempi e spazi in funzione del risultato. Questa enfasi sulla procedura, pur necessaria per certi aspetti della gestione sanitaria, non può e non deve esaurire l’intera dimensione spaziotemporale ospedaliera. È imperativo ripensare profondamente tempi e luoghi, creando contesti più appropriati per la relazione di cura tra operatori sanitari e pazienti

Progetti come il percorso PERLA  rappresentano un passo importante in questa direzione. (ecco il link per il regolamento e il decalogo)

Una nuova architettura, sia fisica che concettuale,quindi, deve essere ricercata attivamente e, quando già presente, valorizzata e sostenuta.

 La sofferenza dei medici, come evidenziato dal movimento #legermåleve, non è solo un problema individuale, ma un segno di dinamiche sistemiche che necessitano di essere affrontate a livello politico e organizzativo. Si invitano tutti coloro che sono interessati a leggere l’articolo originale e ad esprimere le proprie opinioni.

Bibliografia

Engen, C. (2025). «Doctors must live»: a care ethics inquiry into physicians’ late modern suffering. Medicine, Health Care and Philosophy. https://doi.org/10.1007/s11019-025-10258-7

National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine. (2021). Health and professional well-being of nurses. In M. K. Wakefield, D. R. Williams, S. Le Menestrel, & J. L. Flaubert (Eds.), The future of nursing 2020-2030: Charting a path to achieve health equity (pp. 301-354). The National Academies Press. https://doi.org/10.17226/25982

Per approfondire

leggi la Survey Medscape: Medscape Physicians and Suicide Report 2025: “A Lot More Still Needs to Be Done”  link alla survey