ARTICOLI In questa sezione, gli articoli si concentreranno su medicina narrativa, medical humanities ed etica della cura. Analizzando studi pubblicati su riviste scientifiche autorevoli, si tenterà di offrire un punto di partenza per un dialogo interdisciplinare che coinvolga tutti i professionisti della salute. L’obiettivo è contribuire alla costruzione di una pratica clinica più completa e personalizzata, che valorizzi sia l’efficacia degli interventi che la dimensione umana dell’esperienza di malattia
di Massimiliano Marinelli Centro Studi SIMeN 14 aprile 2025
Il consenso informato nell’ambito degli studi clinici
Premessa
Sabato 15 marzo 2025 si è tenuto a Milano il terzo modulo del Corso: Il volontario esperto: da paziente/caregiver a partner, una proposta formativa del Gruppo Pazienti Linfomi Ail-Fil della Fondazione Italiana Linfomi.
Il tema affidatomi è stato il Consenso informato nell’ambito degli studi clinici.
La relazione si è sviluppata in due parti: nella prima ho sviluppato alcune considerazioni in merito alla natura del consenso tentando di mostrare come il consenso informato negli studi clinici debba andare oltre il formalismo burocratico e diventare un’esperienza comunicativa che incide sull’identità e sulle scelte del paziente, valorizzando la soggettività e la storia individuale di ciascuno. Ho poi considerato le dimensioni individuali e relazionali delle le dimensioni dell’autonomia del paziente, evidenziando come l’autonomia si sviluppi attraverso le interazioni con il medico e la rete sociale di supporto, e come il consenso informato debba essere un percorso condiviso, non un semplice atto di autodeterminazione individuale. Nella seconda parte della relazione ho analizzato il modello del foglio informativo e del modulo di consenso per gli studi clinici farmacologici richiesto per gli studi clinici, concordato da EMA ed AIFA e presente nella sezione documentale del Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici territoriali per le sperimentazioni cliniche sui medicinali per uso umano e sui dispositivi medici.
In questo breve articolo presento la prima parte e ringrazio ancora Guido Gini per avermi proposto l’incontro, Giuseppe Giofrrè e Mario Tarricone per la loro premurosa accoglienza e i volontari per l’attenzione e la partecipazione ai temi della Medicina Narrativa.
Introduzione
Permettetemi di condividere con voi una riflessione che nasce dalla mia esperienza nei comitati etici, dove ho lavorato come bioeticista e responsabile della segreteria scientifica. Una cosa mi ha sempre colpito: spesso, dedicavamo molto tempo a esaminare i moduli del consenso informato e i documenti sulla privacy, discutendo in modo approfondito con gli esperti giuridici e medico legali del comitato.
In quei momenti, a volte, mi capitava una strana sensazione, come un senso di inquietudine lungo la schiena. Sapete, quel tipo di sensazione che si prova quando qualcosa non quadra, quando senti che stai tralasciando un aspetto fondamentale. Vi è mai capitato di sentirvi così? Come se ci fosse qualcosa di più, qualcosa che sfugge alla comprensione immediata?
Vorrei quindi mettere in luce due insidie che si possono incontrare quando si parla di consenso informato nelle sperimentazioni e che potrebbero rappresentare le cause della sensazione di disagio..
La prima è la tendenza a non distinguere tra il consenso e il foglio informativo. La seconda è la tendenza a considerare l’autonomia del paziente solo nella sua dimensione individuale, trascurando la sua dimensione relazionale.
Per poter affrontare adeguatamente queste questioni, ritengo sia necessario fare un breve ricognizione sulle due caratteristiche fondamentali del paradigma medico attuale, così come si è sviluppato a partire dagli anni ’60.
Il paradigma attuale della medicina.
Il paradigma attuale della medicina tecnologica si fonda essenzialmente su due elementi: da un lato, la Medicina si auto-comprende come scienza applicata e sviluppa un apparato economico e bio-tecnologico mirato a migliorare i processi diagnostici e terapeutici contro la malattia. Dall’altro lato, si assiste a una crescente emancipazione del paziente, al quale viene riconosciuta piena autonomia decisionale.
Da un lato, quindi, si osserva una notevole espansione delle conoscenze specialistiche e delle opzioni terapeutiche, che sono veicolate da un linguaggio tecnico sempre più specifico e che hanno apportato in questi ultimi anni progressi eccezionali sul piano delle cure. Dall’altro lato, il principio della bioetica clinica del “rispetto dell’autonomia del paziente”, richiede che il consenso contenga tutte le informazioni scientifiche necessarie affinché la decisione sia realmente libera e consapevole.
In questo contesto, la natura spiccatamente procedurale della medicina tecnologica assume un ruolo centrale, in particolare nell’ambito delle sperimentazioni cliniche dove, come ben sapete, ogni fase, dalla selezione dei partecipanti alla raccolta e all’analisi dei dati, è accuratamente definita da protocolli dettagliati, la cui trasparenza e tracciabilità divengono requisiti imprescindibili.
Il risultato di tutto il processo che ho delineato è appunto Il modulo del consenso informato che non prende in considerazione solo le ragioni scientifiche che hanno condotto alla proposta sperimentale, ma anche tutti gli effetti positivi e soprattutto negativi che possono derivare dalla terapia, in modo che il paziente accettandola sia consapevole del negativo associato alla cura (Marinelli, 2023).
La sperimentazione clinica con i farmaci, quindi, è completamente avvolta da un sistema procedurale, del tutto necessario, certo, ma che spesso tende a confondere l’aspetto procedurale con il valore comunicativo e umano della relazione terapeutica e, talvolta, conduce ai due rischi segnalati in premessa e che ora possiamo affrontare.
In questo contesto, il consenso informato dovrebbe essere ripensato non solo come documento legale, ma come strumento di costruzione della relazione medico-paziente. La comunicazione non può limitarsi alla trasmissione di informazioni scientifiche: deve essere un dialogo bidirezionale, in cui medico e paziente collaborano nella costruzione di un percorso di cura condiviso. L’obiettivo di questa riflessione è approfondire come il consenso informato possa recuperare la sua funzione originaria, integrando strumenti narrativi e formativi per rendere la comunicazione più efficace e partecipativa.
Consenso vs modulo del consenso
E’ necessario tener conto della differenza qualitativa tra il concetto di “consenso informato” che avviene tra medico e paziente eil foglio informativo corredato dal modulo del consenso che viene consegnato al paziente e sul quale discutono i comitati etici e le agenzie regolatorie nella fase di approvazione degli studi.
Per comprendere meglio la differenza può essere opportuno confrontare la struttura narrativa del foglio informativo e la funzione narrativa del consenso.
Mentre la struttura narrativa (la forma del documento) è tutta all’interno del testo in esso contenuto con le sue sezioni e con tutto ciò che un modulo per legge deve avere, la funzione narrativa del consenso si spinge al di fuori di ogni modulo, perché punta sul destino umano, sulle conseguenze di un sì o di un no nella vita della persona. La scelta del paziente non è mai isolata, ma si colloca all’interno del suo vissuto, influenzando il suo futuro e la sua percezione della malattia e della cura, ed è per questo che pensare il consenso informato solo come un documento e discutere esclusivamente ciò che in esso è scritto può essere un grave errore.
Dovremo ricominciare a pensare il consenso come una stretta di mano tra due persone che dopo essersi parlate, si lasciano con stima e rispetto reciproci, in attesa di rivedersi.
Senza rispetto e stima reciproche l’informazione rischia di divenire, da una parte un mero dato dal sapore difensivo e dall’altra il consenso diviene una accettazione sospettosa e subita. Se ciò accade, spesso, il documento del consenso informato si trasforma nel luogo dove si dibatte un conflitto legale.
Le dimensioni dell’autonomia del paziente.
Il secondo rischio da evitare di cui vorrei parlare è ritenere l’autonomia come un dato acquisito una volta per sempre. L’autonomia, infatti, è spesso intesa come un’indipendenza assoluta, un diritto inalienabile che il paziente possiede e può esercitare a piacimento. Si tratta di una concezione individuale del possesso di autonomia. Ma, a mio parere, ciò non è affatto vero. Soprattutto in medicina è opportuno pensare l’autonomia in una prospettiva relazionale, piuttosto che individuale. L’autonomia non è un’isola; è un ecosistema. È intrinsecamente legata alle relazioni che costruiamo e manteniamo.
Prendere sul serio questa componente relazionale significa riconoscere che le condizioni per l’autonomia non sono garantite a priori; devono essere attivamente promosse e curate (Pierosara, 2022 p. 47).
La vulnerabilità e la fragilità che rappresentano condizioni costitutive dell’essere umano e che si rivelano spesso nel territorio della medicina fanno sì che l’autonomia resti una condizione di possibilità. Come insegna il filosofo Paul Ricoeur: “poiché l’uomo è autonomo per ipotesi, egli deve diventarlo ” (Ricoeur, 2007 p. 94). In altre parole, l’autonomia non è un dato di fatto, ma un compito in divenire.
Per la persona, che è essenzialmente un essere relazionale, l’autonomia non è qualcosa da esercitare in un vuoto di relazioni, ma piuttosto qualcosa da costruire attraverso un dialogo continuo e significativo. In questo dialogo, il momento di interpretazione e di creazione di senso delle esperienze vissute diventa centrale, molto più dell’atto di volontà individuale.
Se la bioetica clinica garantisce il diritto al rispetto dell’autonomia ciò non significa, quindi, che il paziente sia completamente autonomo in senso assoluto. L’autonomia decisionale si costruisce nel dialogo, nel confronto e nella capacità di integrare informazioni e valori personali nel processo di scelta. Da questa prospettiva, il consenso informato non dovrebbe essere visto come un semplice atto di autodeterminazione individuale, ma come un percorso condiviso, in cui il medico assume un ruolo di facilitazione e supporto alla consapevolezza decisionale del paziente. L’autonomia relazionale riconosce che le scelte di cura non avvengono in un vuoto, ma si radicano in un contesto di significati e legami. Il medico non è un mero fornitore di informazioni, ma diviene un interlocutore attivo, che partecipa alla costruzione della decisione in un equilibrio tra rispetto della volontà del paziente e responsabilità clinica. In questa prospettiva, il consenso informato diventa un momento di co-costruzione della scelta terapeutica, in cui il paziente può acquisire una consapevolezza più solida e fondata del proprio percorso di cura.
Dalla comunicazione interpersonale alla Medicina Narrativa
Alla luce di quanto esposto, emerge la necessità di ricollocare il consenso informato e il modulo documentale all’interno di una più ampia cornice comunicativa e relazionale. Il consenso non può essere un semplice adempimento burocratico, ma deve essere concepito come un dialogo che favorisca la costruzione di un terreno comune tra medico e paziente.
In questo processo, la Medicina Narrativa rappresenta un’integrazione fondamentale alla medicina basata sulle evidenze, offrendo strumenti che migliorano la comunicazione e rendono il paziente più consapevole della propria esperienza di malattia. Un approccio narrativo permette di superare la rigidità dei protocolli standardizzati, valorizzando la soggettività e la storia individuale di ciascun paziente.
Il consenso informato, inteso in questa chiave, diventa il risultato di un percorso di ricerca della concordanza sul piano di cura. La concordanza non deve essere concepita come una mera formalità, ma come un obiettivo condiviso da medico e paziente, in cui entrambi trovano la soluzione più adatta alla specifica relazione di cura.
Conclusioni
Dall’analisi emerge chiaramente che il modulo del consenso informato non può essere separato dalla relazione di cura, in cui si costruisce e si negozia la concordanza sul piano terapeutico. Separare rigidamente il documento dalla dimensione relazionale equivale a trascurare le storie e le esperienze che animano sia il medico sia il paziente. La narrazione personale del medico – fatta di ideali da neolaureato, esperienze dolorose e trionfi terapeutici – si intreccia con la storia del paziente, il suo contesto, le aspettative e quei sentimenti complessi che, a volte, lo agitano. Tale intreccio rappresenta il fondamento di una relazione di cura autentica e deve essere riconosciuto come parte integrante del consenso.
Ciò porta a riconoscere l’urgenza di rinnovare le modalità comunicative nelle sperimentazioni cliniche, adottando un approccio narrativo.
L’innesto di un intervento comunicativo narrativo in modelli di comunicazione internazionalmente validati, come la Calgary Cambridge Guide, o il Kalamazoo Consensus Statement, permette di amalgamare le pratiche documentali con un approccio etico e personale. Tale integrazione garantirebbe la libertà di movimento necessaria per instaurare una solida alleanza terapeutica.
È altresì fondamentale il ruolo crescente nei corsi di comunicazione di pazienti, i quali, grazie alla loro esperienza diretta, possono offrire un contributo prezioso, in quanto in primo luogo hanno acquisito una “conoscenza esperienziale” non accessibile per il medico e, in secondo luogo, essendo i destinatari delle informazioni per il consenso, permettono di valutare, attraverso simulazioni, l’efficacia delle abilità comunicative acquisite dai medici.
L’ultima proposta, a cui tengo in modo particolare, è quella di estendere l’offerta formativa comunicativa anche ai pazienti e ai loro caregiver. La partecipazione diretta a moduli formativi – anche di breve durata – può rappresentare un prezioso strumento preventivo, capace di ridurre il rischio di conflitti e malintesi che minacciano la relazione di cura. Dotare i pazienti e i caregiver degli strumenti necessari per esprimersi in maniera chiara e consapevole non solo rafforza la loro posizione, ma favorisce un dialogo più equilibrato e partecipativo, contribuendo così alla costruzione di una vera alleanza terapeutica.
Per approfondire
Marinelli, M. (2023). Che cos’è la medicina narrativa: Problemi e metodi. Scholè.
Pierosara S.,(2022) Per un’autonomia narrativa, Studium, Roma.
Ricoeur P, (2007) il giusto, vol. 2 Effatà, Cantalupa (To).
sitografia